Saturday, March 29, 2014

Il Texas incantato: serata a Grapevine


Una bandiera americana lungo
Main Street, Grapevine.
Ho solo poche ore a Dallas Fort Worth prima che arrivi la sera e con essa l'imminente volo che mi aspetta per tornare in Italia. Che fare? dove andare a passare quel così poco tempo a disposizione per riuscire a portare a casa un'immagine o un suono memorabile e unico del Texas? Mi rivolgo a CJ, un ragazzo simpaticissimo e amichevole che lavora presso l'albergo in cui alloggio. Mi riempie di suggerimenti e consigli e si scusa tanto perché il collegamento con i servizi pubblici tra l'aeroporto Dallas Fort Worth e la città stessa di Dallas è complesso e decisamente troppo poco rapido per il breve tempo che ho a disposizione. Quasi rassegnata a passare quelle poche ore in albergo prima del mio volo dell'indomani mattina, vengo invece rassicurata da CJ che mi propone di prendere un piccolo autobus colorato che passa ogni ora esattamente davanti all'hotel e arriva in pochi minuti alla città di Grapevine. "Vai lì", mi dice entusiasta, "sono sicuro che ti piacerà!". Mi mette tra le mani, senza accettare discussioni, una banconota da cinque dollari, il suo piccolo gentilissimo regalo personale affinché mi compri il biglietto per l'autobus colorato.

Seguo volentieri il consiglio del mio nuovo amico e lo saluto mentre il simpatico mezzo si ferma davanti all'ingresso dell'hotel. Lo guida un cordialissimo signore sulla settantina che non fa mancare un allegro saluto e un grande sorriso ad ogni passeggero. Durante tutto il percorso osservo le strade che mi scorrono intorno: sono ampie, liscissime d'asfalto grigio chiaro, ordinate e al contempo così largamente intersecate tanto che, sorridendo, immagino me stessa alla guida su una di esse, io che non amo affatto guidare e mi sento persa al di fuori dalle famigliari stradine della mia città. Tutto è illuminato da luci intermittenti ma tranquille, non trovo il caos delle grandi città, né l'esagerazione che ci viene in mente quando pensiamo agli Stati Uniti e alla loro immensità slargata, a quell' "americanità" vasta ed esilarante che scuote noialtri europei in quelle ampiezze riempite da uomini e cose mentre la piccola Europa saluta da lontano con le sue casette schiacciate, i suoi Stati abbracciati in un piccolo spazio, come in quelle famiglie numerose dove, quando nasce qualcuno, non si costruisce una stanza ma ci si stringe un po'.

Main Street, Grapevine, Texas.
Trovo invece tanta serenità in quel paesaggio pacato e dai rumori ovattati del tardo pomeriggio texano, poco più tardi del tramonto, quando il sole ancora si vede in una smilza striscia di fuoco ma il buio si scioglie pian piano d'intorno e copre il cielo intero di una tinta più scura, ma liscia e intoccata da nuvole od ombre. Quando l'autobus si ferma, scendo in una strada rettilinea e lunga, piena di luci, come fosse ancora Natale, benché sia ormai la metà di Gennaio. Ancora decorazioni luminose sfavillano ovunque come a ricordare le feste appena trascorse, e lampeggiano allegre su ogni profilo di casa, come in un disegno di raggi di neon.

Sculture in ferro texane a Grapevine.
Vetrina di un negozio a Grapevine.
Cammino lungo la via, noto qualche alta automobile parcheggiata vicino ai marciapiedi, e guardo l'infinita serie di piccoli negozi, quasi tutti ormai chiusi a quell'ora serale, ricolmi di oggetti carini, dalle forme più strane. In una vetrina vedo tanti coniglietti, di ogni dimensione e materiale, che sembrano alzarsi sulle zampette scattanti per guardare oltre il vetro. Alcuni di loro vestiti di abitini succinti e pomposi, circondati da cigni, fiocchetti, ovettine, alberelli di plastica rosa. Un mondo rosato di nastri e candele, nella vetrina di quel piccolo negozio. Tocca poi a un bar-ristorante di Grapevine il cui ingresso mi abbaglia di luce e natura: una pianta rampicante un po' secca, intersecata a una fila di sprazzi argentati, una panchina di legno dipinta di verde all'ingresso, il menù scritto a gesso su una lavagna squadrata. Continuo ad ammirare i negozi che sfilano e, infine, vedo una parete che parla e mi dice: "Qui, mia cara, non siamo altro che in Texas!": cerchi di ferro e metallo stellati, ripieni di enormi stelle annerite o forme di tori e pistole, una parte di America fiera e pugnace che mi mostra tutto quello che è.


Presepe lungo Main Street, Grapevine.
Arrivo poi ad una chiesa di legno bianca, pare quasi una casa, con un grande ingresso a gradini sottili e un prato ancora verde davanti. Benché sia gennaio, il clima era stato bellissimo durante le ore di luce e anche alla sera il freddo non punge, non graffia, raffredda soltanto le mani e la punta del naso. Davanti alla chiesa vedo un presepe di statue di terracotta dipinta da tanti colori in una capannina col tettuccio di paglia intrecciata. Natale è passato ma un senso di tranquillità e calore avvolge il visitatore di quella singolare cittadina fiabesca. Grapevine è così, calma, mansueta, fondata nel 1843 da un lungamente atteso accordo tra i rappresentanti della Republic of Texas guidati dal generale Sam Houston e i membri delle dieci nazioni indiano-americane. Grape Vine Spings divenne il luogo prescelto per stabilire una pace perenne col trattato di Birds Fort. Arrivarono così i primi abitanti della futura Grapevine, nata ufficialmente un anno prima che il Texas diventasse parte integrante degli Stati Uniti d'America e che oggi conta circa 50.000 abitanti.

Murales a Grapevine.
Poco più avanti un muro grigiastro rivela un murales che sa di passato. Tanti uomini e donne, seduti ed in piedi, ascoltano, parlottano, ci guardano seri. Alcuni di loro tengono degli strumenti: sembra quasi di poterla sentire la musica di banda e parata in una sera così silenziosa. Portano cappelli dalla falda grande, gonne lunghe, bretelle e scarponi. Un bambino con un cappellino di lato sul capo si affaccia dalla porta dell'emporio, curioso di ascoltare quella semplice orchestra che si appresta a suonare. Anche un cagnolino passa distratto nel sole e una bandiera americana sventola gagliarda tra insegne, festoni e tabacco.

I Sunday's Skaters a Grapevine.
Ammiro il murales per un po', poi riprendo a camminare, quasi salutando quei personaggi antichi che per un po' mi hanno tenuto compagnia. Poco più avanti noto delle figurine in corsa, dei ragazzini coi pattini ai piedi. Uno di loro è scivolato e guarda con un po' di imbarazzo il cagnolino che si è fermato accanto a lui, quasi a soccorrerlo. La ragazzina davanti invece, ignara dell'imprevisto dell'amico, continua a pattinare sicura sul marciapiede. Una terza bambina procede cauta, la sua mano sfiora il cancello per cercar sicurezza, i suoi piedi avanzano piano a piccoli passi slittati, per raggiungere l'amico caduto. Ma non si tratta di ragazzini reali, sono statue, i "Sunday's Skaters" (=I pattinatori della domenica), ispirate a fotografie di tre bambini che crebbero a Grapevine negli anni venti e trenta del Novecento. Lo stesso cagnolino, presente nelle fotografie orginali, era solito a quel tempo correre libero per le strade del centro. Mary Virginia, J.E. e Dorothy Bess vissero qui tutta la loro vita e la loro spensieratezza, la loro allegria ragazzina, rivive tuttora agli occhi di ogni visitatore di Grapevine.


Mi fermo per cena al Napolis Italian Café, attirata dall'atmosfera ovattata e del calore dorato che quel posto emana attraverso le sue vetrate affacciate su Main Street. Tanti clienti quella sera stanno già cenando e mentre il cuoco latino mi saluta più volte dalla cucina, ordino la zuppa "Italian Wedding" (=matrimonio italiano), accattivata da un nome così invitante. Si tratta di una piccola zuppa servita in una tazza grande di piccole palline di pasta, spinaci e le immancabili meatballs (=polpettine). Il proprietario si avvicina e mi chiede da dove vengo, e non appena sente la parola "Italy", si scioglie in sorrisi ed entusiasmi, come quasi tutti gli americani che ho incontrato in questi tre giorni di Stati Uniti. Poi, divertito e probabilmente già conoscendo la risposta che lo attende, mi chiede se il cibo che ho mangiato è uguale a quello vero italiano. Rido e dico di no, ma che è buonissimo lo stesso, ed è vero. Poi lascio il ristorante, mi incammino verso la fermata dell'autobus quando noto che lo stesso Napolis Italian Café è anche una pasticceria, proprio nella sala accanto a quella dove io ho appena cenato. Rientro, per il divertimento del proprietario, che mi saluta di nuovo fingendo scherzosamente di non avermi mai vista prima. Compro quattro grossi cioccolatini dai diversi gusti da regalare ai miei nuovi amici della concierge dell'hotel, tanto gentili da avermi consigliato una città memorabile come Grapevine.



Quando scoccano le dieci e mezza, aspetto il ritorno dell'autobus colorato che arriva puntualissimo alla fermata. L'autista ha voglia di chiacchiere e io pure: sono l'unica passeggera del mezzo a quell'ora e passo tutto il viaggio in piedi vicino a lui, che mi racconta la sua vita di autista del pulmino colorato. Chiede di me, del perché sono qui in Texas, mi dice di tornare presto negli Stati Uniti, di tornare presto a Grapevine perché sono benvenuta. Tornata all'hotel, ritrovo CJ, Kelly e Rogelio, i miei nuovi amici qui a Fort Worth, che gustano felicissimi i cioccolatini che io ho comprato per loro. Quando è ormai tardi li saluto e vado a dormire, anche loro mi invitano a tornare in Texas a trovarli. "La prossima volta", mi dicono, "prenderemo un giorno di permesso dal lavoro e visiteremo insieme tutta Dallas! Torna presto!".






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