Sunday, January 25, 2015

Il tempio degli spiriti del mare: Pura Luhur Ulu Watu

La foto che amo. Particolare del tempio di Pura Luhur Ulu Watu, Bali, Indonesia.
Vi siete mai innamorati di una fotografia? Di una foto che, forse, per gli altri, non è così straordinaria: leggermente sfocata, rilucente dai riflessi del sole, forse non è nemmeno centrata, uno scatto grossolano di chi fotografo non è. Eppure, per voi, proprio in quella foto è racchiuso un universo di profumi e sensazioni che ancora penetrano dalle narici e si infrangono forte sulla pelle, di rumori altisonanti e ripetuti che non sono mai stati dimenticati. La foto del mio cuore è una scogliera rientrante di rocce e cespugli marini, una forma inconfondibile di tempio indù, appuntita e arrotondata, stagliata contro il cielo azzurro e grigio che si tuffa in un mare ondoso ma calmo e dello stesso colore, sul far della sera. 

Scalinata al tempio di Pura Luhur Ulu Watu, Bali, Indonesia.
La foto del mio cuore è il tempio Pura Luhur Ulu Watu costruito nell' XXI secolo sulla costa dell'isola indonesiana di Bali. La penisola di Bukit ospita questo tempio appeso su una alta scogliera scura e custodito da decine e decine di scimmie che saltellano, si arrampicano tra le statue di pietra dai volti ora umani ora animali. I loro occhi neri, vividi e acquosi scrutano il visitatore ammaliato, le loro braccina sottili sono sempre pronte ad arraffare un oggetto sconosciuto e interessante: un paio di occhiali da sole, una sciarpetta,... per precipitarsi poi di nuovo, inafferrabili, tra i meandri nascosti del tempio dove solo loro sanno arrivare. E al visitatore ammaliato non resta altro che camminare, arrampicandosi un po' sul dorso della natura sempiterna di Pura Luhur Ulu Watu, seguendone le possenti mura fortificate e i sentieri magici racchiusi in una galleria di rami e di foglie. 

Un uomo e una donna pregano al tempio di Pura Luhur Ulu Watu, Bali, Indonesia.
Attraversando i giardini selvaggi del tempio si scorgono di tanto in tanto delle sagome lente, inginocchiate, le braccia sollevate, le mani giunte davanti alla fronte. Poggiano a terra un cestino ricolmo di riso e di fiori profumati e bellissimi, il loro dono agli dei per dire grazie della fortuna che hanno, per la ricchezza inestimabile della loro vita, qualunque essa sia. I loro profili si stagliano contro la luce incorporea che si spande in fascette arcobaleno, come i riverberi dell'iride abbacinata dal sole negli occhi degli dei. 

E' qui, dentro questi raggi sfumati, che il potere mistico di Brahma, Vishnu, e Shiva pervade le gradinate scoscese, gli arbusti della foresta, gli intagli di pietra dura che resistono al vento oceanico da centinaia di anni, irremovibili, fieri. Gli elementi della natura si completano con l'uomo a Pura Luhur Ulu Watu, si manifestano a pieno, invadenti, nel fragore schiumoso del mare, nello sfregare frusciante degli alberi, nello sfregarsi della terra sotto i sandali, nella frescura durissima della pietra sotto i piedi nudi.

Coro di uomini e danzatori keciak al tempio di Pura Luhur Ulu Watu, Bali, Indonesia.
La scogliera del tempio diventa così un rifugio per gli spiriti buoni della natura, contro le insidie dei flutti che celano invece gli spiriti del mare, demonietti scaltri e perfidi orchi che talvolta emergono dall'oceano e si infilano negli angoli bui della vita, pronti a confondere le strade, a sballottare i pensieri, come fa il vento che tira, sul far del tramonto, sulla cima dei picchi di Pura Luhur Ulu Watu. Il sole declina pian piano e il cielo diventa più bianco, celeste. Un gruppo folto di uomini in sarong neri si siede in cerchio sul palco di pietra e inizia il suo canto stridente, costante, incalzante. Non una voce manca, non un suono si assenta da quella melodia tormentata che narra le leggende più antiche che vivono ancora, ogni giorno, davanti all'oceano, sulla scogliera di Pura Luhur Ulu Watu. Due danzatori di danza keciak dagli abiti preziosi e dai copricapi dorati si muovono simmetrici, i loro gesti controllati e spigolosi seguono i ritmi del coro: ciak ciak ciak, cantano, ciak ciak ciak, danzano ipnotiche le storie epiche di Ramayana

Dopo lo spettacolo, fine del tramonto al tempio di Pula Luhur Ulu Watu, Bali, Indonesia.
Quando lo spettacolo termina, il silenzio colpisce improvviso l'udito, i gorgoglii e gli stridori si bloccano, evaporano via come i personaggi delle storie narrate, pronte a rivivere all'indomani. Gli spiriti cattivi del mare sono domati, la luce va a spegnersi, riposano le scimmiette custodi, sorridono Brahma, Vishnu e Shiva, dopo il loro banchetto. Il vento si alza, fa ondeggiare le fronde, fa frusciare le foglie, ma è caldo del sole diurno e non agita più i pensieri, ma culla le ondine del mare che diventa un letto di schiuma e riflessi. Le nuvole larghe di Bali ricoprono lo sfondo rosato al tempio di Pura Luhur Ulu Watu, l'anfiteatro si svuota di uomini e si riempie di cielo.






Monday, January 5, 2015

Shirin e Farhad, leggenda di un amore nell'antico Iran

"Questa storia è vera e antica, ha più di millequattrocento anni..." incominciò a raccontarmi la mia amica Yasamin, una sera di quelle in cui non puoi dormire bene, una sera di quelle in cui c'è proprio bisogno di una storia.
Pochi minuti prima, stavo ascoltando una canzone del cantante iraniano Mohammad Reza Shokri dal titolo "Shirin o Farhad". Ogni volta che sento quei due nomi mi tornano alla mente tante immagini inaspettate e sorprendenti, tutte le emozioni insperate ed eterne di un mio breve viaggio in Iran. 
La storia di Shirin e Farhad è una di quelle storie che restano all'infinito, che si raccontano e ri-raccontano nella speranza che, in ogni epoca a venire, Shirin e Farhad non subiscano più ingiustizia e soprusi ma che gli amori come il loro ricompaiano sempre, ad ogni generazione.

"Questa storia è vera e antica, ha più di millequattrocento anni..." mi scrisse, allora, Yasamin, la potevo immaginare, con i suoi occhi scuri grandi, che si riempiono di entusiasmo quando mi racconta del suo Paese, dell'Iran, e delle sue storie meravigliose.
Nel VII secolo d. C., prima che gli Arabi arrivassero e portassero con sé l'Islam, viveva in Iran una ragazza giovane e bellissima di nome Shirin. La famiglia di Shirin era molto ricca e conosciuta e l'intero Paese cantava la bellezza unica e la grazia impareggiabile della giovane. 

La gente parlava di lei e la sua fama raggiunse le orecchie del sovrano, re Khosro Parviz, il Vittorioso, ultimo discendente della dinastia dei Sassanidi. Re Khosro Parviz volle chiamare a sé Shirin e suo padre e, rimasto abbagliato dall'indicibile bellezza della ragazza, la chiese in sposa, pur avendo già una moglie, Maria, principessa bizantina, figlia dell'Imperatore Maurizio Tiberio. 
Tuttavia Khosro Parviz non volle rinunciare alla bella Shirin e decise, quindi, di celebrare in segreto il matrimonio. Strappò la sfortunata prescelta dall'amore della sua famiglia e la tenne prigioniera nelle segrete di un castello lontano fino al giorno stabilito per la cerimonia. Nella sua prigionia, l'infelice Shirin si sentì sola e triste, separata per sempre dalla sua famiglia, rinchiusa nel buio e nel segreto più vergognoso di un matrimonio fuorilegge e senza amore.

Un giorno, re Khosro Parviz ordinò che nel castello segreto fossero costruite delle statue per renderlo più grandioso e degno di un sovrano Vittorioso. Un giovane scultore di nome Farhad fu subito inviato al palazzo segreto e incominciò a scolpire su una lunga rampa di scale che portava alla torre dove Shirin stava rinchiusa. Udendo un canto tristissimo di donna e delle lacrime di pianto e dolore provenienti dalle scalinate della torre, Farhad vi salì in cima e si accorse che una ragazza meravigliosa era prigioniera e sola in una grande stanza triste. Farhad si innamorò di Shirin, della sua voce, del suo volto, del suo cuore prezioso che aveva bisogno di essere custodito e salvato. 
Rivelatosi alla giovane, Farhad si recò da lei ogni giorno e anche Shirin si innamorò perdutamente di lui.
Scolpì lentamente, Farhad, ogni giorno, le statue per il re e infine il lavoro fu inevitabilmente ultimato. Arrivato il giorno della sua partenza dal castello, Farhad non si perse d'animo e osò sfidare re Khosro Parviz per ottenere la libertà di Shirin. 
Ma il sovrano, adirato per l'affronto subito e impassibile alle richieste dei due innamorati, negò la libertà della principessa. 
La ragazza, addolorata, si ammalò, indebolendosi ogni giorno di più finché il re, spaventato dalla sua fragile condizione, seguendo i consigli di una vecchia spaventosa strega, concesse una remota e pericolosa possibilità al giovane innamorato. "Se in quaranta giorni riuscirai a scavare l'intera montagna di Bistoon con le tue mani, Shirin sarà libera", proferì.

Farhad partì immediatamente per la città di Kerman, nei pressi della quale si trovava la montagna della sua prova di coraggio e resistenza. Shirin lo attese ogni giorno con grande speranza e timore, ma confidando nel loro amore e nella riuscita dell'ardua impresa. Dal quarantesimo giorno dalla partenza di Farhad la vecchia strega si avvicinò alla principessa e le annunciò beffarda: "Il tuo amato Farhad ha fallito la sua missione, se n'è andato! ti ha abbandonata!". La ragazza non riusciva a credere alle parole della strega ma Farhad non tornava e Shirin pianse tutte le sue lacrime del suo cuore.

La strega, abbandonata Shirin al suo dolore, si recò subito a Kerman con un losco e menzognero intento: annunciare pubblicamente la morte della principessa Shirin. La popolazione intera pianse la morte improvvisa della bella Shirin, ignara del terribile inganno inscenato dalla malvagia strega. 
Ma anche Farhad, stremato dalla fatica di aver compiuto l'impossibile impresa in quaranta giorni e quaranta notti, infine giunse in città e  la tragica notizia sul destino crudele della sua amata giunse subito a lui. Accecato dalla disperazione e dalla sofferenza, Farhad incontrò la morte proprio su quella montagna da lui con così tanta fatica scavata per salvare la bella Shirin. 

Dalla torre nel castello segreto di Khosro Parviz, Shirin udì il subbuglio inquieto proveniente dalla città e venne così a sapere della morte, ahimè reale, del suo eroe Farhad. Solo allora la principessa comprese l'inganno inscenato dalla malefica strega ed appoggiato dallo stesso sovrano e, con le ultime forze rimastele, si gettò anch'ella nelle braccia cupide della morte, aspirando al Paradiso tanto desiderato per rincontrare là il suo Farhad e restare per sempre insieme, liberi dalle prigioni in cui la vita li aveva rinchiusi.