Tuesday, May 31, 2016

I ragazzi di ebano


Particolare del dipinto 'Africa' di Helene Fallstrom 2011.
Pelli, tantissime pelli scure, anche se 'pelli' non si dice spesso, perché la pelle di solito non si conta. E invece qui sì: pelli, tantissime pelli scure, contate come numeri: ieri, un mese fa, l'anno prima, fuori dal mare, dentro ai confini. Dentro ai confini, qui dentro, si traballa, si sbuffa, ci si lagna un po', si arrabatta, ma si vive da uomini, non ancora intrappolati dalla prigione costruita con le nostre stesse mani, con le nostre stesse becere idee, di certo salvati dal mare, quel mare che riempie i vuoti tra continenti e, a volte, anche quello tra popoli. I popoli, quelli che arrivano a ondate - sì, ondate, di mare e di membra - su delle vasche, marcite troppo piccole e vecchie, sottili e cedevoli, sdrucciolanti di sale seccato e umido, asciutte di quell'odore di benzene che rimane attaccato ai vestiti nelle disperate notti, che penetra la pelle, le pelli, le tantissime pelli scure.

Occhi, tantissimi occhi scuri, scurissimi, ancor più delle pelli, pieni di parole in molte lingue che non capisco e vorrei ardentemente capire; straboccanti di ricordi roventi e luminosi come solo l'Africa sa essere. Immagino, e desidero vedere -perché nella loro Africa non ci sono stata, non ancora. Uno scoppio di colori, sì, uno scoppio, come quello del cuore di tutti i ragazzi di ebano, traditi e soli, speranzosi e soli, coraggiosi e soli, spaventati a morte e soli. Occhi, scuri come l'argilla bagnata, come le forme degli alberi contro il rosso tramonto, occhi che non lasciano entrare nessuno finché qualcuno non bussa piano sulle loro lucide pareti di ebano.

Aspettano, i ragazzi, in un silenzio rumoroso di cui provo a sentire la voce, con una compostezza riconoscente, così antica da sembrare irreale, ovattati come i passi dei piedi nudi sul pavimento, piccoli nelle loro maestose figure. E poi, d'improvviso, basta una parola, uno sbattere d'ali, un parlare mai sentito per rianimare i loro volti assopiti,  come non avessero mai atteso altro che quell'attimo, come servisse un niente per ricordar loro che sanno sorridere e diventare invincibili. 

Alcuni dei 'ragazzi di ebano' che hanno voluto raccontarmi le loro storie.
Camminano, i ragazzi di ebano, con le braccia forti e le gambe come colonne; non si sente il loro scricchiolio, non si vede il loro lacrimare volti, ma ad ogni battito di palpebra è di nuovo lì, l'Africa: Mali, Ghana, Costa d'Avorio, Guinea, Nigeria, Senegal, sono tutte lì, nel loro vestito più bello, col loro profumo di mamma e papà, col sapore del proprio piatto preferito, con il suono della voce di un amico che proprio ora, chissà dove,... 
Ma di nuovo, ecco uno sbatter di ciglia e non si è più là, ma qui, in questo nuovo Paese, un po' brutto, un po' bello, ma si è qui, grazie a Dio! -così gridano gli occhi dei ragazzi di ebano- si è qui! si è qui. Si è riuciti ad essere, anche qui, come si era là, un tempo...