Saturday, November 22, 2014

I fantasmi di Nicosia, Cipro del Nord

Veduta dalla Torre di Shacolas, Nicosia, Cipro. Sulle montagne, la bandiera turca.
Posto di blocco greco, poco prima di passare
la frontiere ed arrivare nella zona turca di Nicosia.
Camminando verso la frontiera, appare di sfondo
lo spettro della zona neutra di Nicosia.
Una fila di gente, un volto serio, il tonfo preciso di un timbro. Solo poche decine di metri di passaggio, una zona neutra nel mezzo che spaventa, con le sue case diroccate, ingrigite, spente, svuotate di vita, una via di fantasmi che forse, nelle notti di vento, ancora passeggiano e cercano di aprire la porta di casa. Muovemmo lì i nostri primi passi in un altro Paese che ci trovammo concretamente davanti ma che sui fogli dei potenti del mondo non esiste. Un Paese che esiste eccome, tuttavia, ma che nei ricordi di chi dovette evacuare e ricominciare tutto da capo non dovrebbe esserci. E invece c'è, la Nicosia turca, che, con la stessa irruenza di quel lontano 20 Luglio 1974, ci investì con la sua aria speziata, i suoi colori terrei e chiassosi delle città d'Oriente, le sue forme drammatiche e curve.

Fui subito pervasa da un odore diverso da quello della Nicosia greca, pochi metri più indietro: essenza di gente dai tratti più scuri e dagli occhi più scavati, da abiti lunghi e capi coperti, dalle espressioni ora sfuggenti, ora così trattenute, quasi insolenti; essenza di moschee e minareti che cantano, di tappeti polverosi e drappi profumati; di braci e kebab, di dolci lukumi, della frutta lucente del bazaar Bandabuliya. Mi trovavo sempre sulla stessa isola di qualche minuto prima, eppure fu come se quelli spiriti di vento nascosti nella zona neutra proibita ci avessero spinto, divertiti, verso un altro luogo del mondo, in un tempo sospeso a metà tra il passato e il futuro.

Numerosi i caffé, dove crocchi di giovani uomini osservavano rilassati la strada loro dinnanzi, negozi brulicanti di oggetti e acquirenti curiosi. La città era un tripudio di cartelli e scritte in una lingua che desiderai di saper leggere. Il mondo moderno avvolgeva la turca Nicosia, senza nascondere quel vento di antichità che soffiava ovunque ed imperava nelle vie più nascoste, nelle stradine più timide e confuse che ci attrassero a loro, un po' per sbaglio, un po' per volontà. 

Una strada silenziosa nella zona turca di Nicosia, Cipro del Nord.
Una città arrabattata, la Nicosia dei Turchi, confusa ed innegabilmente affascinante, costruita su quello che vi era prima, sulle esistenze di persone altre il cui destino sarebbe rimasto per sempre legato alla nuova città dentro le mura, a quell'abbandono di cose permesso dal tempo, che emergeva da ogni angolo disfatto, da qualche vicolo infangato, da alcuni stipiti cadenti; un abbandono di anime permesso dai potenti del mondo, che si sente dalle voci di chi non vuole cedere a nessuno la propria amata isola, di chi non accetta di mostrare un passaporto per camminare sulla sua terra, di chi mi corregge con "parte occupata" quando parlo di "parte turca" di Nicosia.


Un ragazzo prega trai raggi di luce della mosche di Selimiye, 
Nicosia, Cipro del Nord.

Davanti a noi apparve quasi d'improvviso l'imponente moschea di Selimiye, un tempo cattedrale di Santa Sofia, con le sue mura ceree, le sue svettanti torri e un ampio portone d'ingresso. Togliemmo le scarpe, ci coprimmo il capo col velo e ci addentrammo in un quel luogo ovattato e morbido, dove una luce soffusa entrava prepotentemente dagli ampi vetri così in alto e una penombra chiara ispirava le preghiere più sentite.







Dettaglio del cortile di Buyuk Khan, Nicosia, Cipro del Nord.
Poco lontano, si apriva in un cortile un piccolo mondo rimasto antico come allora, il Buyuk Khan, il caravanserraglio costruito da quegli stessi turchi che nel 1571 sottrassero Cipro ai Veneziani su commissione del governator-generale Muzzafer Paşa. Oggi il Buyuk Khan è un centro artistico e ricreativo, coloratissimo di oggetti in vendita e sfiziosissimo per i ristoranti del piano superiore, ma un tempo i suoi corridoi ariosi e le sue volte appuntite facevano da rifugio per i viaggiatori che dall'Anatolia arrivavano a Cipro. Mi sembrò quasi di vedere, in quel chiacchiericcio confuso del cortile interno, qualche mercante muoversi con fervore, un soldato stanco a cavallo attraversare il cortile squadrato, degli uomini entrare delicatamente nella piccola moschea Ottomana centrale, mi sembrò di poter quasi sentire lo scrosciare dell'acqua dei rituali di abluzione. E invece lì vi erano solo turisti, viaggiatori curiosi come noi, si udiva il cliccare delle macchine fotografiche, il parlottare confuso di diverse lingue, il tintinnio delle forchette e dei piatti, si vedevano i brillii della merce più preziosa, lo svolazzare delle stoffe, dei veli. Forse il Buyuk Khan, in fondo, stava dando ancora ristoro ai viaggiatori che arrivavano a Cipro, in un modo diverso.



Ingresso del quartiere di Samanbahce, Nicosia, Cipro del Nord.
Viaggiatori come noi,  camminando verso il quartiere di Samanbahce, che subito ci stregò con la sua calma apparente, interrotta ogni tanto dal miagolio di gattini nascosti dietro un vaso di fiori o sdraiati su una panchina, padroni indiscussi, alteri, con il languore orientale nei grandi occhi allungati. Samanbahce, il primo progetto di case popolari dell'isola, costruite tra il 1918 e il 1925 attorno ad una fontana esagonale che ne è da sempre il centro e che ne fu fonte di acqua e vita. Un silenzio conciliante con quel bianco dei muri, quell'azzurro e verde delle persiane chiuse. Qualche sguardo di anziana, ogni tanto, sbirciava il mondo fuori quelle pareti mute. Solo le risate chiassose di due bambini che pedalavano velocissimi negli ariosi corridoi rombavano nell'aria. Ci sorridevano, ridacchiavano gridando qualcosa che non sapemmo capire ma che li divertiva tanto, prima di sparire di nuovo, nella loro scomposta allegria. Tre bambine, sorelle, uscirono con cura da una porta blu, la riaccostarono piano, parlottando sottovoce e tenendosi per le piccole mani. Camminarono verso un'altra apertura di quell'universo misterioso dove creature nascoste vivevano nella quiete del giorno. Al loro tacito ingresso, una tenda si scostò e noi scorgemmo un focolare acceso, una donna dal capo coperto che sbucciava verdure, un ragazzo che riposava disteso su una stuoia sottile. I loro occhi si girarono di scatto, trovandoci, e poi scomparvero ancora, come spiriti inavvertibili nel mondo di Samanbahce.



Fontana esagonale al centro del quartiere di Samanbahce, Nicosia, Cipro del Nord.


Particolare della porta d'ingresso della Dervish Pasha Mansion, Nicosia.
Staccatici dalla malia ovattata di quel luogo,ci addentrammo, per le strade della Nicosìa turca, Lefkoşa, ultima città divisa nell'intera Europa, dove le case si fanno un po' cadenti, un po' stanche, ma innegabilmente belle, di una bellezza ottomana, di arabeschi e ghirigori di ornamenti sbiaditi, verniciati di una crosticina debole, che si stacca, si assottiglia; le finestrelle a golfo, i bassi ingressi ad arco delle case costruite a fine Ottocento.  Sono così le abitazioni del quartiere di Arabahmet, intitolato a Arap Ahmet Pasha, comandante ottomano e governatore di Cipro nel XVI secolo. E' così anche la Dervish Pasha Mansion, con la sua porta ottomana, costruita nei primi del Novecento come dimora dell'editore del primo quotidiano turco-cipriota, "Zaman" (Il Tempo), Tuccarbasi Haci Dervis.



Tramonto nel quartiere di Arabahmet, Nicosia, Cipro del Nord.

Zaman, il tempo... ci sorprese rapido e, senza che ce ne accorgessimo, ci ritrovammo a camminare illuminati dall'unica luce vibrante del tramonto che quella sera stava colorando il cielo di lingue infuocate di rosa e di viola. I profili delle case e delle palme si stagliarono nell'orizzonte luminosissimo, così come il profilo della vicina chiesa Armena.
Zaman... il tempo correva veloce nella lentezza di Nicosìa, scivolando sulle note allungate e flessuose del muezzin che dal suo alto minareto richiamava alla preghiera.

Presto avremmo dovuto riattraversare il confine verso la Nicosia greco-cipriota per perderci nuovamente nel profumo di souvla e caffé greco, nei suoni di una lingua così antica e fiera, acuta e ricca dell'energia di chi non smette di credere nella propria vittoria. Tornati indietro, cosa sarebbe rimasto della turca Lefkoşa? Sarebbe tornata ad essere un soffio di terra conteso e maledetto? o avrebbe continuato ad esistere nei nostri ricordi come un sogno che non svanisce al mattino? Per questo ne scrivo, per ricordarmi dell'isola trai due mondi, della Cipro divisa, per non dimenticare quel dualismo che vidi fortissimo e il fascino straniante che provai quando i fantasmi della zona neutra accompagnarono anche me nella Nicosia del Nord, guidarono anche me in quella città baluginante e malinconica come loro stessi.





2 comments:

  1. Bellissimo! Congratulations for the post, I really enjoyed it!

    ReplyDelete
    Replies
    1. Grazie mille, Pilar!!! I'm so happy you liked the post, especially because you were there, too, sharing those emotions! :)

      Delete