Thursday, November 6, 2014

I danzatori Sasak sotto la luna di Lombok

Tramonto su una spiaggia sull'isola di Lombok, Indonesia.



video Danzatori Sasak a Lombok

Sull'isola di Lombok era una sera come tante altre, bellissima. Le onde basse e delicate del mare strisciavano silenziose sulla sabbia della riva che all'indomani mattina sarebbe stata lontana, scoprendo al sole piccoli tesori emersi: straordinarie stelle marine, sassolini levigati e conchiglie tonde o appuntite che sempre cantavano la voce del mare. 

Quella sera, però, la riva era ancora vicina e noi stavamo in ascolto della sua musica flebile che ci cullava insieme alla brezza serale. Mi strinsi un po' nel mio scialle rosato e vidi avvicinarsi a noi delle esili figure che camminavano piano, ma allegramente. Alcune di loro portavano degli strumenti leggeri, come piccoli tamburi e flauti; altre invece indossavano lunghi abiti sciancrati e procedevano a braccetto, parlottando e ridendo in una lingua sconosciuta. Erano danzatori e suonatori Sasak.

La popolazione Sasak abita prevalentemente l'isola di Lombok, nel sud est dell'Indonesia e si caratterizza per la dedizione alla religione musulmana differenziandosi così dalla maggioranza indù dei Balinesi. L'isola fu convertita all'Islam tra il XVI e XVII secolo, sotto l'influenza di Sunan Giri, uno dei Wali Sanga, ossia "santi riveriti" dall'Islam indonesiano, il quale favorì la diffusione di una religione che inglobasse le principali credenze musulmane con alcuni riti indo-buddhisti. Proprio questo mescolarsi di culture e tradizioni è ciò che rende l'isola di Lombok unica e indimenticabile. La magia della natura, l'equilibrio e i colori dell'induismo, la timidezza e i veli dell'Islam e il profumo, il delicato, inevitabile ed eterno profumo che emana tutta l'Indonesia e che ritorna tra le narici anche a distanza di tempo, che ti avvolge dal primo istante e non se ne va più.

Quando le luci si accesero graduali sul quadrato soppalco di legno lucido che sarebbe stato il loro teatro, i nostri occhi si voltarono curiosi verso quei giovani artisti. I musicisti si sedettero sulla sabbia ancora tiepida e incominciarono a battere colpi ritmati e meccanici sui loro tamburi mentre i danzatori si disposero in una fila incurvata. Erano tutti ragazzi di Lombok, tra loro c'era anche un bambino. Mai intimidito dai nostri sguardi, si  muoveva spavaldo coi più grandi senza incertezza alcuna, avvolto nel suo abitino tradizionale di guerriero. Il primo di quella curiosa fila, invece, era un ragazzo che impugnava un bastone dall'estremità bombata e dai colori sgargianti sul rosso, arancione e giallo. Si posizionò in piedi a gambe divaricate, un po' accovacciato, le spalle larghe, le forti braccia ben salde. Dietro di lui, due ragazze dell'isola tenevano appoggiata alla mano destra una scatoletta mentre con la sinistra decoravano l'aria con le loro dita in movimento rapide e controllate, le teste scattanti e pronte alla danza non appena i piatti avrebbero suonato più rapidi e vicini.

I suonatori erano ora seri e concentrati sui loro strumenti, ora un po' incuriositi dal piccolo pubblico che li circondava. C'era chi suonava un sottile flauto di bambù con note acute e vibrate, chi invece si occupava dei piatti, battendoci sopra altri due piattini più piccoli con intensità e precisione. Un altro suonatore, invece, con una bellissima orchidea bianca trai capelli, faceva suonare i piatti, un po' distratto,  con un bastoncino di legno scuro. Il giovane suonatore di tamburo pareva instancabile, lo sguardo fisso a terra, gli occhi socchiusi e le mani abili, rapide e sicure sulla pelle del suo strumento. Tutti loro, i loro strumenti e la voce discendente di una delle danzatrici formavano una piccola gamelan, tanti pezzi intonati per suonare insieme. La parola deriva dal verbo del dialetto giavanese "percuotere con un mazzuolo", probabilmente in riferimento ai continui rintocchi dei piatti o dei tamburi a cui seguono contemporanei movimenti isolati e bloccati dei danzatori.

Questi ultimi, che fino a quel momento avevano continuato a muoversi in cerchio, si fermarono per sedersi uno di fronte all'altro in due file parallele. Le danze Sasak sono, infatti, un'alternanza fluida tra movimenti energici e scattanti e altri più pacati e lenti, posizioni innaturali e spigolose contrapposte e movimenti rotatori e morbidissimi. I due danzatori camminavano sui talloni, la gambe e le braccia allargate e flesse, trattenendo tra le mani un piatto bastone di legno chiaro, forse l'arma di una storia dei guerrieri che rappresentavano. Le ragazze invece camminavano a piedi piatti, appoggiandosi sui talloni nudi solo a fine camminata.

Danzarono una danza concentrica e fluida su una musica instancabile, continua. Il pubblico li seguì attento fino alla fine, quando, ridendo, i danzatori Sasak scomparvero rapidi lungo la spiaggia, come fossero fatti di sabbia loro stessi, nel buio della sera inoltrata. Ancora oggi, quando penso all'isola di Lombok, scopro di non aver mai dimenticato quella musica e quella gestualità elegante e incantata, quei significati nascosti in cinque dita che vibrano, in un passo sicuro, in una voce che stride. 


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