Dipinto di Willem Haenraets, Bandoneón |
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo tantissimi furono gli Italiani che presero una grande nave diretta in Argentina. Uomini, giovani, adulti, tutti in cerca di fortuna, di terra, di sicurezza nel continente delle opportunità che qui da noi chiamavano 'Merica. Questi italiani coraggiosi, spaventati, ingenui e determinati dovettero per la prima volta ricostruire se stessi e il loro Paese, individuandone le peculiarità, rivivendone le tradizioni, riordinando quel groviglio di ricordi infantili ed emozioni adulte davanti a un Nuovo Mondo lontanissimo e capovolto in cui l'unico conforto erano le note vibrate, ora rapide, ora lente, e le parole scompigliate del tango, mescolate, che ad ogni sillaba combattevano contro quell'olvido tanto temuto, contro la paura di dimenticare.
Finivano alla sera i lavoranti italiani delle piantagioni, col cuore pieno d'amore per la terra lontana, per le persone lasciate; e di attesa per il giorno in cui avrebbero camminato di nuovo su quel suolo, rivisto quei volti che in loro confidavano e che li aspettavano ogni giorno e ogni notte, pazienti, forse alzando lo sguardo verso la luna, che è la stessa per tutti, o protendendo il busto verso quell'oceano immenso...
Finivano alla sera i lavoranti delle piantagioni e allora c'era chi aveva con sé una fisarmonica e, perché no, anche un bandoneón. Solo così poteva iniziare un concertino improvvisato, con quella stanchezza malinconica e quella speranza trepidante che sbocciarono nel tango, oggi sinonimo di passione e sensualità, ma che nacque da una lacrima, dalla paura di dimenticare, dalla voglia di ricordare le figure, gli odori, i suoni della bella Italia.
Tango italiano, tango argentino, tango che suona come casa, che parla in spagnolo Rio-platense, talvolta mescolato ad una frase in uno dei tanti dialetti del Bel Paese; tango che accarezza il viso, che accompagna confortante nei sogni, che lascia immaginare la struggente vita migrante degli Italiani coraggiosi partiti su una nave con un baule carico di sogni.
"Cuando escucho 'O Sole mio' / Senza mamma e senza amore / siento un frío acá en el cuore". Cantano così le parole di Canzoneta, immaginando il calore del sole, della mamma, di quell'amore italiano che tanto mancava, che tanto avrebbe fatto sentire di essere a casa. E proprio Napoli è invocata anche da Canción de Inmigrante, con le sue acque azzurre, il suo golfo punteggiato da imbarcazioni: "Sol de Napoles / lontano / mare azzurro / mi puerto". Napoli, profumo d'Italia. Italia, luogo dell'anima, indimenticabile, dove ogni angolo, ogni dettaglio diventa un legame indissolubile di emozioni antiche come dentro alla "casita de [los] viejos [donde] cada cosa es un recuerdo que se agita en [la] memoria".
Il tango si fa pittore e dipinge nelle sue strofe nostalgiche figure di immigranti italiani, spesso avvolti dai luoghi del ricordo, come el italiano che "toca piano, piano, su acordeón" nella "Cantina" che diventa donna e che piange la malinconia della vita lontana da casa. O come l'emigrante in quel viejo Cafetìn dove "siempre rondan los recuerdos y un compás de tango de antes va a poner color al dolor". Sì, il dolore si colora nella musica, nella ripetitiva convinzione di restare italiani per sempre e di tornare un giorno, non troppo lontano, al Paese. L'Italia si mistifica, si sfoca, evapora nei ricordi fino a diventare un'immagine sognata, così intangibile da far temere che forse la si è solo immaginata...
Il tango divenne così la musica degli emigranti, il lamento della loro impotenza di fronte alla solitudine e al disorientamento culturale, il tentativo danzante di fare ordine tra le loro frammentate esistenze. L'allegra milonga dei gauchos argentini venne alterata dalla creatività ombrosa dei musicisti italiani fino a divenire il suono del cuore infranto, il ritmo del desiderio fortissimamente e incessantemente trattenuto. Il tango restò a lungo un genere disgraziato, relegato nelle più famigerate bettole di Buenos Aires e solo con la crescente ricerca di un peculiare nazionalismo argentino negli anni Trenta il tango diventò insuperata caratteristica simbolica dell'Argentina fino ai giorni nostri.
Italiani e Argentini, Italiani d'Argentina: le identità compromesse in un'unica musica, quella del tango; le identità con-promesse, promesse l'una all'altra nella completa revisione e nel conseguente ri-adattamento di entrambe. La nuova Argentina che inventò se stessa coabitando con gli Italiani. Gli italiani che ricostruirono la loro casa armoniosamente, naturalmente, senza strappi, senza più lacrime, in un Paese che alla fine li trattenne come figli propri e ancora oggi li trattiene là, in ogni bambino che nasce con un cognome italiano, in ogni doppio passaporto erogato, in ogni giovane che sogna il piccolo Paese dalla forma di uno stivale dove nacquero i bisnonni, ad ogni passo ovattato e vibrante di tango, ad ogni pesante baule da viaggio che emerge dai cimeli di famiglia, ad ogni voce che dice "Questo lo usò il bisnonno quando partì per l'Argentina...".
Il tango si fa pittore e dipinge nelle sue strofe nostalgiche figure di immigranti italiani, spesso avvolti dai luoghi del ricordo, come el italiano che "toca piano, piano, su acordeón" nella "Cantina" che diventa donna e che piange la malinconia della vita lontana da casa. O come l'emigrante in quel viejo Cafetìn dove "siempre rondan los recuerdos y un compás de tango de antes va a poner color al dolor". Sì, il dolore si colora nella musica, nella ripetitiva convinzione di restare italiani per sempre e di tornare un giorno, non troppo lontano, al Paese. L'Italia si mistifica, si sfoca, evapora nei ricordi fino a diventare un'immagine sognata, così intangibile da far temere che forse la si è solo immaginata...
Dipinto di Willem Haenraets, Tango Argentino II |
Italiani e Argentini, Italiani d'Argentina: le identità compromesse in un'unica musica, quella del tango; le identità con-promesse, promesse l'una all'altra nella completa revisione e nel conseguente ri-adattamento di entrambe. La nuova Argentina che inventò se stessa coabitando con gli Italiani. Gli italiani che ricostruirono la loro casa armoniosamente, naturalmente, senza strappi, senza più lacrime, in un Paese che alla fine li trattenne come figli propri e ancora oggi li trattiene là, in ogni bambino che nasce con un cognome italiano, in ogni doppio passaporto erogato, in ogni giovane che sogna il piccolo Paese dalla forma di uno stivale dove nacquero i bisnonni, ad ogni passo ovattato e vibrante di tango, ad ogni pesante baule da viaggio che emerge dai cimeli di famiglia, ad ogni voce che dice "Questo lo usò il bisnonno quando partì per l'Argentina...".
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