Stasera mi sento di scrivere di un viaggio un po' diverso dal solito, che non si fa prendendo un aereo, né l'automobile. Si tratta di un viaggio che si fa coi proprio piedi, le proprie braccia, la propria schiena; che si fa con la mente, con i pensieri, con la ragione e con tutti i sentimenti che spuntano, schizzano, irrompono da ogni parte. Questo viaggio è la danza, per chi sa di cosa parlo, per chi non ne vuole sapere, per chi non ci pensa neanche a ballare - "che stupidaggine!" oppure "sono negato!"- e per chi invece non farebbe nient'altro dalla mattina alla sera.
La danza è stato un viaggio per me, incominciato quando avevo cinque anni e la mamma mi ha portata alla mia prima lezione di danza classica. Ne sono passati di anni da quel giorno, non troppi, ma tanti sì. E questa sera, per la prima volta in così tanto tempo ho sentito una tale amarezza, una frustrazione silenziosa, una rabbia vecchia, brutta ma ancora forte, che mi ha afferrato le caviglie, mi ha intrappolato le braccia e, per la prima volta in tanti anni, mi ha fatto gettare la spugna, mi ha fatto arenare, mi ha fatto smettere, smettere di ballare. Sì, per pochi secondi mi sono fermata, immobile, come mi ero ripromessa di non fare mai.
Ho pianto di un pianto altalenante, parlato parole attorcigliate, ascoltato opinioni in disaccordo e pensieri più ampi e più antichi, che erano lì da tempo, in agguato, pronti a svignarsela dal controllo, ad aspettare quella nota, quel conteggio, quel suono di voce, per evadere e mettere tutto in disordine, In questo caos capitato dentro al cuore in un attimo, tra occhi imbarazzati e sguardi iracondi, per la prima volta in tutta la mia vita ho pensato di fermarmi, ben più a lungo di quei pochi secondi, di fermarmi e basta.
Una volta ho visto un bambino che voleva solo ballare. Si muoveva leggero e deciso con le sue gambette cicciotte, il suo corpicino minuscolo, la sua testolina rotonda, con quella spensieratezza che ho sempre cercato nella danza. Ballava, per sé e per la sua mamma, "per fare le persone felici", diceva. Ballava, ed era felice, quel bambino. Ballava ed era felice.
Una volta ho visto una ragazza incredibile, a cui la vita più cattiva aveva tolto le gambe in un grave incidente. Ballava e rideva, di quella gioia che ho sempre cercato nella danza. Ballava e rideva quella ragazza senza gambe. Ballava e rideva.
Una volta ho visto un ragazzo, la maglietta un po' larga, un cappellino sbarbatello. Una canzone iniziò e quel ragazzo si trasformò in una creatura di musica, muovendo ogni parte di sé, dentro di sé, intorno a sé. Ballava e cercava i sorrisi degli altri, quel divertimento inspiegabile tra il corpo e le note, i battiti, le pause, che ho sempre cercato nella danza. Ballava e cercava sorrisi quel ragazzo. Ballava e cercava sorrisi.
Una volta ho visto un uomo solo. Le linee del volto vissuto, gli occhi profondi e leggeri come le sue braccia che disegnavano linee nell'aria e abbracciavano qualcuno che non c'era più. Ballava e viveva la vita che sognava, oltre il dolore, in quella consolazione che ho sempre cercato nella danza. Ballavano e vivevano quell'uomo e sua moglie. Ballavano e, solo così, vivevano.
Una volta ho visto un vecchio signore, i capelli candidi, il passo incerto, la voce tremante come il bastone su cui si appoggiava. Ballava e sentiva quella libertà travolgente che ho sempre cercato nella danza. Ballava e sentiva quel vecchio signore. Ballava e sentiva.
Poi ho ripensato a me stessa, al perché mi sono fermata stasera. E così, solo così, ho capito che è tutta una finta, che quello che si vede non è vero, perché io non ho mai smesso di ballare. Ho smesso di muovermi, di eseguire, di inghiottire un'emozione esagerata, come quando si morsica un pezzo di pane troppo grosso e per inghiottirlo bisogna bere, bere tanto. E io, di bere quest'acqua che serve, non ho mai smesso.
Io ballo per questo, per una giostra di sentimenti che a volte non so definire. Ballo per questo, con tutto questo e anche di più: un carico leggero che a volte pesa sulle spalle, sulla mia schiena un po' storta, sopra le mie gambe un po' corte, contro le mie caviglie un po' gonfie. Io questo carico lo voglio insegnare! Voglio gridare che la mia danza è un viaggio infinito che punta dritto al cuore. Voglio fare sapere che la mia danza deve essere di tutti, nessuno escluso. Deve far ridere fino alle lacrime, gioire di salti e di abbracci, scacciare il dolore con la musica.
Ci ho pensato e ho deciso: NON SMETTERò MAI DI BALLARE, con la felicità a cui anelo, con la gioia che sento, con il sorriso che porto, con la consolazione che necessito, con la vita che ho, non smetterò mai di ballare.